Nel frattempo è uscito un articolo particolarmente settario e squallido di Marco Ponti
“Pendolare” significa colui che si sposta quotidianamente per lavoro (o per studio) al di fuori del proprio comune di residenza; tuttavia in Italia è divenuto sinonimo di “pendolare ferroviario”. In realtà una piccola percentuale dei “pendolari” usa la ferrovia (meno del 3% di loro per ragioni di lavoro, certo di più per ragioni di studio superiore, ma in numero assoluto sempre pochi). Questi pendolari pagano con il biglietto circa il 20% dei loro costi (abbiamo le tariffe tra le più basse d’Europa), hanno assai spesso pessimi servizi, sono molto “vocali” (cioè protestano molto) perché il treno consente facilmente aggregazioni di utenti, godono del privilegio di risiedere e lavorare ragionevolmente vicino a una ferrovia (la maggioranza dei pendolari ovviamente non è in questa condizione).
La bassa qualità dei loro servizi (scarsa puntualità, sporcizia, ecc.), e gli alti costi che ciononostante la mano pubblica paga per questi servizi sono connessi all’assoluta assenza di competizione nel settore.
I pendolari in autobus per lavoro sono circa il 25% del totale, e costano molto meno alla collettività, soprattutto se si tiene conto dei costi di esercizio e investimento della ferrovia. Possono protestare meno, sono più “isolati”. Hanno per definizione pessimi servizi, perché viaggiando nelle ore di punta soffrono molto la congestione stradale. Inquinano e congestionano pochissimo, per passeggero trasportato.
Tutti gli altri (più del 70% dei lavoratori) viaggiano in auto, non possono protestare affatto, pagano molto caro (tasse elevatissime sui carburanti, e spesso anche pedaggi autostradali). Escluso una piccola minoranza di ricchi capricciosi, non scelgono liberamente di andare in macchina: stanno in aree disperse e a bassa densità per “sfuggire alla rendita” (cioè per pagar meno la casa), fanno spesso lunghe distanze perché hanno trovato un buon lavoro e cambiar casa in Italia è costosissimo. Inquinano (circa il 15% dei gas serra totali), e congestionano le strade. Pagano tuttavia almeno 10 volte di più per il loro certo non volontario inquinamento, di quanto paghino i settori industriali, agricoli, ed energetici, che rappresentano il 85% dell’inquinamento ma hanno potenti lobby a difenderli. Pagano anche per i pendolari ferroviari e in bus, e per le strade che percorrono, e molto ne avanza.
Di fronte a questa situazione oggettiva (i numeri in gioco possono variare di poco a seconda delle fonti), si portano argomenti stravaganti, del tipo il “servizio universale ferroviario”: treni per raggiungere tutti gli insediamenti, con costi da fantascienza che nessuno calcola. Si invocano più soldi per le ferrovie, che già ne ricevono fiumi con scarso successo. Si levano grida di trionfo per i due miliardi di Euro per nuovi treni pendolari, pagati per un quarto dallo stato e per tre quarti “autofinanziati” da FS grazie ad un’oculata gestione. Poi risulta che quei tre quarti sono in realtà pagati dalle regioni con i contratti di servizio… ma così questi particolari “pendolari” non si lamenteranno più. Dulcis in fundo, il ministro dichiara che questa spesa sarà un toccasana per le imprese italiane, forse sfuggendogli il fatto che si deve fare una gara internazionale.
L’alternativa di migliorare l’insicura e congestionata viabilità ordinaria a beneficio di quel 97% di pendolari per lavoro che viaggia in bus e auto, e che, con grandissime spese pubbliche aggiuntive, potrà essere ridotto forse al 95%, non sembra interessare molto : non possiedono voce aggregata e spesso non riescono a farsi sentire in modo univoco. Per questo motivo non rappresentano un problema di tipo sociale.
Marco Ponti
A parte il fatto che la conclusione di tale pistolotto sarebbe che bisogna tenersi i rottami di treni che abbiamo e che ci vogliono più auto e più strade (ma Ponti si è mai chiesto cosa fa il resto del mondo?), l'articolo è anche in malafede perchè ripete luoghi comuni tipo "il treno in Italia costa poco" anche quando non è vero e anche quando è vero solo per abbonamenti non integrati (e che quindi escludono la multi-modalità e diventano cari per chi ne ha comunque bisogno), e poi fa i confronti con i numeri che gli interessano, mettendo assieme tutti gli spostamenti, anche quelli di 1 Km per accompagnare il bimbo all'asilo o quelli, estremamente diluiti nello spazio, nei piccoli comuni a decine di Km dalle zone congestionate.
Provi a fare questi suoi ragionamenti nelle aree dense e lungo gli assi maggiori, come il Sempione, la Valassina, la Paullese... e forse avrà numeri e percentuali un po' meno rassicuranti rispetto alle sue tesi di seconda mano.
Per ferrovia, alla sezione corrispondente alla stazione di Monza, passavano fino a poco fa (e ora sono decisamente di più) circa 100mila passeggeri al giorno, cosa vorrebbe fare il nostro scienziato, mettere altre 100mila auto al giorno sulla statale 36?
Un altro punto fermo nel metodo di Ponti è la brillante superficialità dell'analisi.
Quando la struttura dei costi del TPL non è quella attesa o desiderata (magari i treni e i bus sono vuoti per un orario demente costruito per mancare gli interscambi...), cosa fa il nostro fine pensatore, si chiede quali siano le cause di questa bassa o presunta tale prestazione? Ma no, propone semplicemente di tagliare, tagliare, tagliare.
Come se in presenza di un dolore ad un braccio non si cercasse la causa del male, per guarirlo se possibile. No, una brillante amputazione e via... non sarà perchè, caro professor Ponti, non si è capito un tubo di come funziona il trasporto pubblico e quindi non si sa letteralmente dire altro?